I DOLORI DEL GIOVANE NILLO

Si era svegliato tardi, il vecchio Nillo, quella domenica, ed era riuscito a perdere tre appuntamenti nella stessa mattinata.
 
Nel grande letto a baldacchino si girava e rigirava in senso antiorario: quando la sveglia aveva suonato la prima volta, alle 9.30, era steso in verticale, con la capoccetta sul cuscino e i piedi sotto i tre strati di coperta (era l’11 maggio, ma Nillo era un tipo freddoloso) mentre all’ultima sveglia – quella delle 10.45 – era finito in diagonale, con le braccia protese verso il comodino, per agguantare ogni dieci minuti il telefonino, controllare l’ora – ancora dieci minuti, dai – e infilare nuovamente la capoccia sotto il cuscino, distendere le gambe, ruotare ancora dieci gradi, e lanciare l’ennesimo sospiro d’amore.
 
Come per un esame di storia medievale, Nillo il neolaureato ripassava nella sua mente, parola per parola, ogni singola frase che Occhio di luna le aveva detto quella notte, prima di salutarlo.
 
“Grazie per i fiori, non c’era bisogno”.
“Dipende dai punti di vista” aveva risposto lui.
“Mi ha fatto piacere, davvero”.
“Allora sono contento”.
 
Nillo muginava e rimuginava disteso sul letto, con la bocca amara più per la delusione che per la Capricciosa ingurgitata alle tre di notte.
 
“Hai deciso di mangiare da solo?” aveva detto lei, sedendoglisi di fronte.
 
“Non sono solo – aveva risposto a Occhio di luna indicando la Capricciosa – sono in ottima compagnia. E, anzi, siccome ci troviamo in un momento particolarmente intimo, preferiremmo non essere disturbati”.
 
Poi avevano iniziato a parlare, e Nillo si era perso subito dentro lo sguardo della giovine, e gli era mancata quasi l’aria quando all’improvviso lei si era alzata ed era ritornata – non so con quale scusa – al suo tavolo.
 
Un’altra occhiata al telefonino, altri sette gradi di rotazione, il faccione affondato ancora tra i due cuscini.
 
Come l’Uomo Ragno lancia la sua tela elastica e resistente Nillo avrebbe voluto lanciare dai polsi una speranza a cui aggrapparsi,  
“Ma a cosa ti vuoi aggrappare? – si diceva – Ti pare che una ragazza minimamente interessata a te ti saluta dicendoti ‘ci rivediamo il 6 giugno’, dimenticandosi pure, tra l’altro, che avete un progetto da preparare insieme prima della fine del mese?”.
 
Con mossa agile e repentina sollevò d’un tratto le coperte e sprofondò nelle ciabatte.
“E’ finita. Adesso devo solo dimenticarla” esclamò. Poi si rituffò con guizzo anguillino sul materasso, infilando la testa sotto le coperte.

Ecco, adesso era proprio a 180 gradi. Sibilò il suo nome, come un adolescente alla prima cotta.
 
“Ma dimmi tu se alla mia età devo ritrovarmi in una situazione come questa” pensò seduto sul letto.
 
Perché non ci crederete, ma il vecchio Nillo, con tutta la sfiga di broccolo verginello, con tutto il fantozzian-verdoniano modo di rapportarsi all’altro sesso, eppure erano quattordici anni che non si trovava nell’imbarazzante situazione dell’innamorato non ricambiato.
 
Negli ultimi anni si era innamorato poche volte, ma ogni volta quell’amore era diventato una storia; più o meno grande, ufficiale, o tormentata. Ma pur sempre una storia, un sentimento vissuto. E quella frase di Dante – che in adolescenza aveva trovato fatalmente e totalmente estranea alla sua vita sentimentale – oggi era diventata una legge della natura: amor ch’ a nullo amato amar perdona.
 
Nillo non aveva più lasciato che il suo cuore si riempisse di un sentimento che non fosse condiviso. “L’amore è una cosa seria. O c’è o non c’è – aveva detto mille volte – le cotte sono una cosa da adolescenti. Se mi piace una donna che non mi si fila volgo il mio sguardo altrove. E quella potrà essere pure la mia donna ideale, ma non mi farà battere il cuore, non sarà il primo pensiero la mattina l’ultimo la sera, non mi impedirà di concentrarmi sulla mia vita, non toglierà sapore alle cose belle della vita per impostare una gioia e una sofferenza monografica. Insomma, non mi farà innamorare”.
E di esempi ne aveva a vagoni.
 
E come era possibile allora, ritrovarsi ora, a trent’anni suonati da tre anni, a pensare tutto il giorno ad una donna che non lo pensava?
 
Nillo si vergognava con sé stesso di riconoscersi innamorato. Quello stato, che solo un giorno prima gli era sembrato nobilitare tutta la sua vita, adesso se lo sentiva addosso come una gomma americana appiccicata al cuore.
 
Si muoveva a fatica, il vecchio Nillo, quella mattina, e mentre si stropicciava gli occhi caccolosi davanti allo specchio del bagno, pensava che con l’acqua del rubinetto avrebbe voluto lavare anche quell’insana passione che gli ottenebrava lo sguardo sul mondo.
 
Aveva ricevuto tanti applausi, la sera prima, il vecchio Nillo. Tanti applausi mentre si inchinava di fronte alla platea del Teatro Verdi. E qualcuno anche in scena.
 
E perché non glie ne fregava niente? A Nillo il narcisista, a Nillo il megalomane, a Nillo l’egocentrico, dei complimenti delle persone che lo circondavano fuori del camerino?
E gli ripetevano quanto era bravo, e quanto si erano divertiti. E Nillo l’egocentrico, e Nillo il narcisista nemmeno le vedeva, quelle persone. Sorrideva e annuiva, forse rispondeva pure, ma aveva lo sguardo fisso altrove, dieci metri più avanti. E proprio non riusciva a staccarlo lo sguardo, mentre amici, parenti, conoscenti e sconosciuti gli stringevano la mano e lo baciavano.
 
E Nillo il narcisista, Nillo l’egocentrico manteneva lo sguardo fisso su di lei, dieci metri più in là, che chiacchierava con quattro amici. E con il ragazzo.
 
E non riusciva proprio a fregargliene niente, del successo di quella sera, perché nel cuore aveva la morte di un amore abortito.
 
Mentre la caffettiera iniziava a fischiare Nillo continuava a girare la manopola della radio, cercando la stazione giusta, senza trovarla. La verità è che l’unica frequenza con cui si sarebbe voluto sintonizzare  – no, ti prego non lo dire, questa risparmiacela! – era quella del suo cuore.
 
(Ecco, l’hai detta. Bravo, adesso quale altra frase fatta hai intenzione di servirci?)
 
Quella mattina le stazioni radio gli facevano schifo tutte. Passava il dito sopra le coste dei cd per trovare la musica più adatta  – DylanStingU2JovanottiCarmenConsoliDeAndréBranduardiBattiatoJamesTaylor – al suo stato d’animo. Ma non c’era.
 
Non c’era niente.
 
Nillo passeggiava per le strade semideserte della città, in quell’assolata domenica di maggio. C’era ancora qualche fioraio aperto, per la festa della mamma.

E Nillo ripensò a Penelope.
 
L’aveva conosciuta sopra un palcoscenico, anche lei. Ed era proprio il palcoscenico del teatro Verdi. La prima volta che Nillo ci era entrato passando dal camerino, anziché dalla biglietteria.
 
Penelope era una bellissima diciassettenne mora, con i capelli a caschetto.
Ci aveva messo circa quattro mesi, Nillo, per innamorarsene perdutamente. Nel segreto più assoluto.
 
Nillo faceva Ulisse, con tutta la sua ansia di ulteriorità, la sua incapacità di godersi la serenità, la vita vissuta sempre come un’avventura, il bisogno di partire sempre, di lasciarla ancora una volta. E lei bella, paziente, fedele.

Se fosse stata sua, no, Nillo non l’avrebbe mai lasciata.
 
Quando lei si fidanzò Nillo si ritrovò come una sorta di Werther, all’interno di un rapporto di amicizia a tre con un amore celato, ardente e rassegnato.
 
Leggeva Goethe, in quei giorni di giugno, il giovane Nillo, e preparava gli esami di maturità. Penelope continuava a vederla a scuola, e la loro amicizia cresceva ogni giorno di più. Fu proprio lei a fargli riscoprire Jovanotti, con i suoi racconti, le sue magliette soleluna, e la cassetta di “Lorenzo ’94”.
 
Quando la scuola decise di replicare Penelope e Ulisse a Nillo il narcisista, a Nillo il megalomane, a Nillo l’egocentrico, a Nillo l’aspirante attore, di tornare in scena non gliene fregava proprio niente. L’unica cosa che gli faceva battere il cuore, che lo emozionava e lo riempiva di entusiasmo era l’idea di rivedere Penelope, di avere ancora un’occasione per stare con lei.
 
Nillo aveva preso il diploma, quell’anno. E Penelope gli aveva mandato una cartolina da Parigi.
 
A settembre prese ad andarla a salutare all’uscita della scuola. E si chiacchierava, e si stava insieme, sempre in tre.
Poi una sera – era il 10 dicembre del 1994 – alla festa di diciotto anni di un’amica comune, Penelope gli disse che si era lasciata. E gli disse anche “andiamocene, ho voglia di passeggiare”.
 
Fu il loro primo appuntamento. Cominciarono ad uscire insieme. Facevano cose strane, come andare di notte a giocare a pallavolo in piazza Solferino. E poi parlavano per ore, seduti sulla balena di marmo.
 
Penelope lo ascoltava senza stancarsi, anche se poi lo prendeva il giro dicendogli che era prolisso. Ci scrisse anche una poesia, il giovane Nillo: Fesso e prolisso, si chiamava. Gliela avrebbe spedita un anno dopo, insieme alla lettera di quaranta pagine in cui ripercorreva tutto il loro rapporto, in cui le svelava per la prima volta ogni dettaglio dei suoi sentimenti.

Troppo tardi.

 
Fu il 5 maggio il giorno del giro di boa.
 
Nillo non era mai stato fidanzato, non sapeva nemmeno come si faceva, a provarci con una ragazza. Ma sapeva che il rapporto con Penelope era arrivato al punto di non ritorno. Era tempo che succedesse qualcosa, perché quel rapporto facesse un salto di qualità. Quello definitivo.
 
Ma Nillo non ebbe il coraggio di farsi avanti. La guardava negli occhi e un po’ di amore ce lo leggeva. Ma aveva troppa paura. Gli sembrava impossibile che Penelope potesse ricambiarlo. Gli sembrava impossibile poter essere felice con una ragazza.
Non ci era proprio abituato, il giovane Nillo, ad essere amato.
 
Voleva dichiararsi, ma le parole non le trovava. E forse non le voleva trovare.
 
Le fece un discorso molto contorto, e anche un po’ inquietante: tipo, io se fossi innamorato di te non te lo direi mai perché così rovinerei la nostra amicizia.
E forse, lei, un pochino si spaventò. Forse non ebbe il coraggio di lasciarsi andare, o la voglia di prendere l’iniziativa.
 
“Se ti fossi fatto avanti ci saremmo messi insieme” le avrebbe detto lei, dodici anni dopo, seduta su una panchina a due passi dalla balena.
 
Quel cinque maggio fu il giro di boa. Il loro rapporto, dopo, fu tutto in discesa, e non nell’accezione positiva.
 
Penelope si allontanò. Andò a studiare lontano.
“Avrei voluto che qualcuno mi fermasse” gli avrebbe detto poi.
 
Ma Nillo non la fermò. Anzi, ci rimase così male da pensare che Penelope non meritasse la sua devozione. E cominciò ad allontanarsi da lei.
 
Poi Penelope si fidanzò di nuovo. Poi si lasciò ancora. Passarono anche un capodanno insieme, da soli. Non successe niente, e lei, con una punta di malizia, lo sottolineò in una lettera, qualche giorno dopo.
Che era poi qualche giorno prima di fidanzarsi, con il suo futuro marito.
 
E Nillo come uno scemo stava lì, a guardarsi passare la vita davanti, aspettando che si fermasse per farlo salire.

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12 commenti su “I DOLORI DEL GIOVANE NILLO

  1. ARNALDOCASALI il said:

    Arnaldo è Arnaldo, e Nillo è Nillo.

    Arnaldo essere autore. Nillo essere personaggio (tranne per un’unica persona al mondo, le cui iniziali sono E.P.)

    Marco chi essere?

    E soprattutto: in che senso “bravo”?

  2. anonimo il said:

    bravo per come tu scrivere in modo chiaro.

    Io avere usato condizionale perchè pensare che scritto era autobiografico e Nillo tuo omologo letterario.

    Marco essere uno dei tanti buchi di c..o che animano la terra.

    saluti

  3. ARNALDOCASALI il said:

    Beh, allora hai indovinato!

    Mi piace la parola “omologo”.

    Buchi di c..lo un po’ meno….

    Un’ultima domanda:

    perché “E…”?

  4. ARNALDOCASALI il said:

    Forse vale la pena che io dia conto della mia reazione forse un po’ antipaticuccia al commento di Marco.

    Innanzittuto io sono prolisso, e quindi mi piacciono le persone prolisse!

    “E bravo Arnaldo”, come commento, dice un po’ troppo poco. Forse sono paranoico, ma davvero non sono riuscito a capire cosa volesse dire.

    Io accetto volentieri qualsiasi critica, anche massacrante. L’unica cosa che non sopporto è l’ambiguità. E purtroppo, quando si scrive è sin troppo facile essere – anche involontariamente – ambigui (anche per questo hanno inventato gli emoticons!)

    Quell’ “o dovrei dire Nillo”, poi, mi ha dato altrettanto fastidio, perché ci ho visto (probabilmente a torto) un tentativo di strappare la maschera all’attore.

    Un blog, per la sua natura di diario online, rischia di trasformare ogni post in una confessione pubblica.

    Io stesso l’ho usato, per un periodo, con questa funzione. Alcuni elementi che ho raccolto in questi mesi, e tra questi alcuni – ve l’assicuro – molto seri, mi hanno però indotto a eliminare questo aspetto.

    Da qualche tempo cerco di evitare – volutamente – di farne un diario pubblico, se non per piccole e meditate eccezioni.

    Dal 29 aprile questo blog è tornato ad assolvere la funzione per cui era nato, e cioè raccolta di produzione letteraria, di qualsiasi tipo: aforismi, poesie, racconti, articoli, interviste, saggi, dediche.

    Il racconto – per quanto autobiografico – resta finzione.

    E verità di cui è portatore, resta comunque mediata.

    Poi ci possono essere eccezioni (come “Il lauto pasto del lupo”) in cui la forma letteraria cerca solo di rendere più simpatica e dinamica una pagina di diario che altrimenti sarebbe stata ben più pesante.

    Ma quando trovate uno scritto targato come racconto, sappiate che io non ho nessuna intenzione di farvi sapere fino a che punto è vero e fino a che punto è inventato.

    Anche se questo non toglie che possiate capirlo da soli!

    Insomma, Marco, scusami, ma ci voleva tanto a scrivere: “Complimenti il racconto mi è piaciuto, soprattutto da un punto di vista stilistico. A proposito, si tratta di un racconto autobiografico, vero? Nillo è una sorta di alter ego letterario?”.

  5. anonimo il said:

    Io invece sono sintetico e mi piacciono le persone sintetiche.

    Il commento era bonariamente provocatorio ed evidentemente ha colpito nel segno.

    La prossima volta cercherò di uniformarmi al tuo stile, insomma, proverò a contrarre una qualche forma di diarrea verbale (faccina antipatica).

    Arrovellati meno sulle questioni banali come il mio commento #1, vivrai meglio.

    Spero di non essere stato ambiguo.

    Marco

  6. anonimo il said:

    Anonimo #7, specifica, argomenta, non essere ambiguo. Sii prolisso e preciso, altrimenti arnaldo, che per sua stessa ammissione è paranoico, ti bacchetterà severamente e non riuscirà più a prendere sonno, sconvolto dall’esistenza di tanta superficialità.

    Devi scrivere:

    Tu, Marco, che hai commentato in modo così provocatorio e ambiguo offendendo l’animella delicata del povero arnaldo, sai che sei proprio antipatico? Anzi, sei proprio un uomo da poco, un verme.

    Su, anonimo, un po’ di fantasia.

    p.s.

    Arnaldo, hai ragione, è bello suggerire i commenti.

    Marco

  7. anonimo il said:

    Pensa un pò il 5 maggio Arnaldo o Nillo stava con me….me so perso qualcosa? E’ troppo lungo ho letto di corsa il racconto, che mi sono perso?! Alessandro ps: puoi rispondere in privato!!

  8. ARNALDOCASALI il said:

    Sinceramente mi sfugge il senso di tutta questa polemica.

    Se sono stato sgradevole me ne scuso, però caro Marco sinceramente mi sembri un po’ acidino!

    Continuo anche a non capire il senso di quel “bonariamente provocatorio”.

    A me piacciono le provocazioni, solo che non ho capito su COSA era la provocazione! Sul fatto che ho scritto un racconto autobiografico? O su ciò che c’era scritto?

    Sono disorientato per questo motivo: e cioè, che non riesco a capire quali sentimenti ti abbia suscitato la lettura del racconto e, di conseguenza, cosa volevi dire esattamente con il tuo breve commento.

    Non capisco nemmeno se il tuo giudizio si basa su quel singolo racconto, sull’insieme di questo blog o sulla mia persona!

    Non voglio suggerirti commenti, ma mi permetto garbatamente di chiederti di essere più chiaro!

  9. anonimo il said:

    Provocatorio nel senso di voler togliere la maschera all’attore, per usare le tue parole.

    Un po’ duro di comprendonio?

    Adesso capisco i tuoi tempi universitari.

    A mai più.

    P.s.

    Sì, sono acido, sono l’incarnazione del male.

    E’ su persone come me che quelli come te e i cosiddetti santi hanno costruito la loro moralità, i loro precetti, la loro stessa identità.

    Dovresti ringraziarmi.

    Marco

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